La Scaramanzia di Gabriele D’Annunzio

Gabriele D’annunzio ha lasciato un grande ricordo di se, sia per la sua poetica, per le sue prodezze militari, sia per l’eccesivo sfarzo che ha sempre accompagnato la sua vita.

Non tutti sanno però che il Vate era molto superstizioso, temeva paradossalmente più la malasorte delle pallottole nemiche, una situazione che potrebbe risultare inverosimile per un uomo di grande levatura.

Ma si sa sono proprio gli uomini eruditi a essere i più superstiziosi.

Le credenze di D’Annunzio per le energie oscure che scaturiscono dal sentimento umano dell’invidia le ha ereditate dalla sua cara madre Luisa de Benedicts, originaria del’Abruzzo, una terra ricca di tradizioni magico popolari.

Il Suo primo amuleto contro la malasorte lo subì già al momento della sua nascita, come lui stesso espone nel libro segreto: "Nel nascere io fui come imbavagliato dalla morte; sicché non diedi grido. Né pur avrei potuto trarre il primo respiro a vivere se mani esperte e pronte non avessero rotto i nodi e lacera quella sorta di tonica spegnitrice. Dipoi né primi anni dell’infanzia portai al collo chiusa entro un breve quella ligatura insolita che l’antichissima superstizione della mia gente reputava propizia".

Due studiosi di D’Annunzio, Attilio Mazza e Antonio Bortolotti nel loro saggio "Gli Amuleti di d’Annunzio" (Ianieri editore) ci chiariscono come il Poeta, il quale scampato alla morte nel momento della nascita a causa di soffocamento per il cordone ombelicale, abbia portato appeso al collo, per i primi anni della sua infanzia dentro uno "Scapolare" o "Breve" un pezzetto di detto cordone.

Il "Breve" è un sacchettino di stoffa, contenente reliquie, immagini religiose, pezzi di placenta o come in questo caso un pezzetto del cordone ombelicale che, appeso al collo del neonato, diventa un potente talismano contro le forze del male.

Un altro rituale della cultura abruzzese, al quale d’Annunzio fu sottoposto a pochi giorni dalla nascita, fu quello fattogli dal nonno paterno: esso al fine di propiziargli la ricchezza mise nelle fasce dell’infante quattrocento monete d’argento.

Durante la sua vita furono molti tra amuleti e talismani che Gabriele d’Annunzio portava con se, tra questi: l’anello a forma di teschio di suo nonno, che la sua adorata madre gli aveva donato e, un proiettile nemico che non andando a segno si piantò nella carlinga de suo aereo.

Una delle cose che egli temeva di più erano gli iettatori, ovvero quelle persone che consapevolmente o inconsapevolmente erano in grado di sprigionare dagli occhi quell’energia nefasta, capace di portare tremende sventure. Lui faceva spesso ricorso a numerose pratiche magiche, al fine di preservare se stesso e la sua dimora da queste oscure energie.

Tra i molteplici elementi talismanici presenti nella sua sontuosa dimora, il Vittoriale degli Italiani sul Lago di Garda, ricordiamo il distrutto "ponte degli scongiuri". Questo ponte che si ergeva sopra un piccolo corso d’acqua era ornato da numerosi corni di cervo e di alce oltre ché da speroni di gallo. Chiunque, in odore di malasorte bussava alla sua porta, era fatto transitare sopra detto ponte, ma non prima di aver pagato un pedaggio che avrebbe debellato la sfortuna recata.

Il poeta dunque credeva fermamente nelle vibrazioni malefiche, e aveva mille modi per esorcizzarle, di questo non ci si deve meravigliare: la superstizione e parte di noi e come scrisse il grande Edoardo De Filippo "Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male".

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